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Mektoub my love: Canto Uno

Due citazioni sulla Luce, una del Vangelo una del Corano, aprono il film Solare, marino, vitale, erotico e assolutamente sensuale di Abdellatif Kechiche. Un altro racconto di formazione dopo quello in penombra de La vie d’Adele, stavolta en plein soleil abbagliante negli occhi di Amin.
L’alter ego del regista, il giovane ventenne innamorato del cinema e della fotografia che torna da Parigi sulle sue spiagge di Set nel sud della Francia. L’uomo che guarda la vita degli altri senza toccarla. Da subito uno degli amplessi più selvaggi ed estetici è fra il cugino Toni, che porta in giro in moto il Cous cous (autocitazione alla Truffaut) e Ophelie, bellissima come una Venere del Botticelli amata in silenzio da Amin, la quale a sua volta tradisce Clement. Amin li guarda da fuori nascosto dietro una finestra. Il sesso esplicito finisce lì. Ma nelle restanti quasi tre ore, tutto diventa una festa, un impero dei sensi tra spiagge, discoteche, ristoranti. Ragazze di stupefacente bellezza dai lunghi capelli, dagli splendidi volti dai carnosi sederi provocano i maschi voraci sempre pronti. Amin bello come un dio, continuerà solo a guardare, proporrà a Ophelie di fotografarla nuda ma il suo è già l’occhio dell’artista, che dietro a quel trionfo effimero della giovinezza che esplode per creare la vita, già vede il dolore (nel finale aperto, come in Adele, raccoglierà le confidenze addolorate di Charlotte tradita da Toni e si avvierà con lei di spalle come Adele in un finale aperto). Nessuno come Kechiche penetra la vita con le immagini, entra nella sua superficie, nel suo parlarsi addosso, nelle sue trame casuali ma non casuali. I dialoghi in spiaggia non sono intellettualistici come nei Rohmer estivi ma lo evocano negli intrighi.
Però l’occhio è sovversivo come quello di nessun altro, agitando ogni piano e inquadratura col soffio della vita che ci arriva con tutta la sua forza e il suo mistero, nel tentativo di svelarlo. Fiammeggiante sempre e poi di colpo, sul canto di Cecilia Bartoli, immensamente contemplativo e mistico di fronte al parto di un agnellino, che Amin fotografa in ginocchio come in chiesa, di notte. Stavolta, senza luce del sole e prostrato di fronte al grande enigma che non si svela. Qui l’occhio di quello che forse è il più grande maestro visionario di oggi, entra come in trance e abbandona per un attimo il più grande trip visivo che il cinema di oggi ci può dare. Assolutamente abbagliante, assolutamente siderale.
per vedere il trailer clicca qui: 

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