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Telemedicina e rapporto medico-paziente: luci e ombre

Il cambiamento radicale che sta avvenendo nella organizzazione sanitaria, grazie allo sviluppo tecnologico, pone non pochi quesiti su come sarà la medicina futura. Ci occupiamo da tempo con estremo interesse delle ricadute positive che l’intelligenza artificiale e la telemedicina, in particolare, può avere nell’assistenza e nella cura di molte patologie, ma altrettanto è inevitabile avere timori e incertezze di come possano evolvere a scapito del rapporto medico-paziente e della qualità della cura.

La tecnologia può portare importanti miglioramenti nella gestione del paziente, nella diagnostica, nella terapia. Può accorciare i tempi, a volte cruciali, nella prevenzione di situazioni acute, basti pensare alla possibilità di monitoraggio a distanza di pazienti cardiopatici o cronici.

È necessario soffermarci su cosa possiamo guadagnare, ma anche perdere, poiché ad un aumento dell’efficienza secondo metodologie standardizzate può aggiungersi un irrigidimento del ragionamento nella pratica medica e rendere meno duttile quella modulazione necessaria per acquisire il rapporto di fiducia tra medico e paziente, base fondamentale per un percorso di cura.

Ippocrate descrive l’agire medico in tre atti: tocco (diagnosi), rimedio (terapia) e parola (dialogo). Nella medicina recente spesso si assiste ad un distanziamento fisico del medico dal malato già fin dalla fase diagnostica. Il necessario e fondamentale aumento e affinamento della tecnologia diagnostica può essere un ulteriore fattore di allontanamento così come la scarsa formazione al dialogo tra medico paziente e all’accoglienza “umanistica” del corpo malato. L’approccio è spesso incentrato sulla malattia e il tempo sempre più̀ contratto limita l’approfondimento di ciò̀ che la persona nel suo insieme, si aspetta, richiede, vuole comunicare. Nel corso del tempo è necessario un lavoro continuo di ascolto, di adattamento, di identificazione e di distanziamento, in una parola di continua modulazione attorno alla persona che si rivolge al medico portando il suo problema di salute.  La preoccupazione non può non sorgere se si pensa ai tempi ristretti di visita, al necessario e inevitabile sguardo sul monitor de computer, all’eccesso di burocrazia a cui bisogna ottemperare.

L’intervento della telemedicina è già da tempo in corso (pensiamo alla comunicazione degli esami, ai teleconsulti, a progetti di monitoraggio in patologie quali il diabete o lo scompenso cardiaco cronico). La pandemia da COVID-19 ha accelerato il ricorso alla telemedicina e si è compreso quanto possa essere utile per garantire la diminuzione del contagio e nel contempo permettere la continuità delle cure, anche a domicilio, e l’integrazione tra ospedale e territorio. Sappiamo che, nei programmi di finanziamento del PNRR, si punta sull’implementazione e diffusione di tale tecnologia, ma non si legge come attuare tale virtuoso e utilissimo mezzo in una sanità italiana provata da anni di tagli di risorse tecniche e umane, di frammentazione organizzativa, di sistemi informatici molto differenziati tra regioni e spesso non aggiornati o carenti. La diffusione della telemedicina nella nostra nazione potrebbe non essere un processo omogeneo, a meno che non vi sia un’efficace rete di infrastrutture su tutto il territorio in cui si parli una sola lingua. Ènecessario un consenso sulle riflessioni etiche dell’uso di queste tecnologie, ad esempio quelle riguardanti l’utilizzo dei dati dei pazienti e le modalità con le quali possono essere prese alcune decisioni cliniche. Infatti nell’erogazione di strumenti telematici in medicina, si possono ipotizzare vari profili di responsabilità. Ad esempio in caso di errori medici, se un sistema di intelligenza artificiale sbaglia una diagnosi, di chi è la colpa? Di chi lo ha elaborato? Oppure di chi lo ha distribuito? O, ancora, del medico che ha preso la decisione? Appare evidente che più si irrigidisce il sistema più possono sorgere problemi a cui si auspica ci siano risposte chiare da parte dei legislatori. Occorre inoltre una protezione e una regolamentazione dei modelli digitali affinché siano creati con responsabilità e sicurezza tenendo conto dei valori etici e culturali della popolazione in oggetto.

L’efficacia della telemedicina può essere differente nelle diverse patologie, così come è diversa nelle varie fasi del rapporto di cura definite schematicamente come diagnosi, terapia, cura. In momenti fondamentali quali il primo incontro, l’ascolto, la comunicazione, cardini di un inizio di relazione il cui esito non è certo, è molto difficile pensare che la telemedicina possa sostituire in toto quel delicato e importante rapporto di scambio e di fiducia che si dovrebbe instaurare fin dall’inizio e che è noto determini ciò che viene definito “compliance” del paziente. Pensiamo ad esempio al tempo, che durante la pandemia si è dilatato in modo esponenziale durante il lockdown e le quarantene. Pensiamo al tempo necessario per costruire un rapporto tra medico e paziente, con la conoscenza non solo della storia clinica, ma anche del suo contesto famigliare, sociale, culturale e in contrapposizione a questo, pensiamo alla velocità degli strumenti telematici, alleati assolutamente preziosi, ma incapaci di costruire una relazione empatica. Certo, sappiamo quanti limiti, quante inefficienze, quanti contrasti nell’approccio tra sanità e cittadini. Quante corrette e giustificate lamentele proprio per un carente rapporto col medico, in particolare col medico di medicina generale. Ben venga quindi una tecnologia che sia strumento utile, che possa potenziare e semplificare ma anche essere di aiuto alla l’attività del medico, ma senza ridurre la qualità e senza smettere di porre al centro la relazione, riducendo disagi e impedimenti per i pazienti, aiutandoli in un efficace percorso di cura.

 

 

 

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