Quando un bel po’ di tempo fa (e me ne scuso) la nostra amica e socia di Donne In, Myriam Bergamaschi, mi ha chiesto di scrivere una pagina sul tema della solitudine, ho pensato che questa richiesta fosse rivolta a me non solo come psicoterapeuta, ma anche come persona sola, di 70 anni, vedova da qualche tempo, senza figli e per di più con un trascorso di figlia unica. Credo che Myriam abbia pensato che dovevo avere molta esperienza in materia!
Eppure, mi sono ritrovata a compiere un grande sforzo per “stare sul pezzo”…. Dapprima mi sono venuti in mente molti aforismi di scrittori e poeti che definiscono la Solitudine in modi contraddittori (c’è chi la esalta come uno stato ideale di libertà e chi la maledice come un pozzo nero); mi è anche venuto in mente che nei paesi anglosassoni per Solitudine si utilizzano 2 parole dal significato opposto (solitude/loneliness), ma credo che tutto questo lo sappiamo già…e temo che la mia paginetta risulterebbe un esercizio intellettuale, neppure ben riuscito… Mi son chiesta perché tutta questa fatica ,ho cominciato ad ascoltare quello che sento….e ho compreso che non sempre il quadro che mi si para davanti è piacevole da guardare.
Sono terrorizzata al pensiero delle malattie e, soprattutto dalla non autosufficienza; l’idea di dovermi affidare totalmente a mani estranee mi provoca un’angoscia terribile…ma ho una discreta salute, sono ancora in grado di lavorare e di appassionarmi al mio lavoro e ho condizioni economiche sufficientemente buone che mi danno sicurezza e, in ogni caso, ho fatto il testamento biologico!!!
Se penso a mio marito che non c’è più sento un dolore acuto e una mancanza infinita. Se mi capita di frequentare gli amici di sempre, mi sento “spaiata”, disorientata, come se avessi un doloroso “arto fantasma”, temo di sentirmi un peso per tutti, di avere aspettative esagerate, invidio quelli che sono in coppia… così sono alle prese con aspetti di me che proprio non mi piacciono… Ma agli amici “importanti” voglio bene e spesso mi sento ricambiata (non da tutti…c’è chi comprensibilmente si tiene alla larga, forse per paura di rispecchiarsi in qualcosa di doloroso). E poi penso a mio marito, al compagno della mia vita, mi aggrappo ai ricordi belli, a quelli tristi, ma soprattutto a quelli intensi e veri. Penso a quanto il nostro rapporto mi abbia cambiato, rendendomi, credo, più solida e concreta.
Mi sono dilungata confessando i miei stati d’animo, spesso conflittuali, per constatare (credo succeda anche a voi) che i momenti di”solitude” si alternano inesorabilmente con quella di “loneliness ” e questi hanno una connotazione depressiva, potenzialmente distruttiva della nostra sicurezza. Constato, al contrario, che la “solitude”, senza idealizzarne le caratteristiche, rappresenti una conquista continua che ha a che fare con un senso di padronanza di noi stessi che ci fa sentire al sicuro.
Credo che questo senso di padronanza si possa conquistare (forse soprattutto ) in presenza di esperienze dolorose (lutti, malattie….), se riusciamo a mantenere integro un senso di noi stessi, tollerante nei confronti delle nostre parti deboli, fragili e nello stesso tempo in grado di far fronte al dolore, alle difficoltà,alle mancanze, anche davanti alle decisioni difficili; ma, proprio per questo, ci consente di sperimentare “il piacere della funzione e del padroneggiamento della realtà “, fonte del nostro benessere e della nostra autostima. (vedi: J. SANDLER e aa, La Ricerca in Psicoanalisi, Boringhieri)